Dieci anni fa il mondo vide Kim Jong Un per la prima volta, alla conferenza del partito convocata nell’ottobre 2010. Al momento della morte di Kim Jong Il e dei preparativi alla successione, la stampa internazionale e i vari think thank stranieri azzardavano pronostici sul futuro della Corea Popolare: alcuni si attendevano il rapido crollo, altri prevedevano un’apertura controllata, ma tutti erano concordi nel sottolineare la presunta “inesperienza” del nuovo leader e nel riconoscere che il “regno eremita” era uno Stato troppo anacronistico per esistere a lungo nel XXI secolo. Ma la storia ha seguito un altro corso e si è assistito invece ad un risveglio del sistema socialista: il partito ha ripreso la sua attività regolare, le dimensioni dell’economia sono cresciute di oltre un terzo e la gestione delle imprese viene razionalizzata senza abbandonare i princìpi del socialismo, il paese ha in larga misura colmato il gap tecnologico con il mondo occidentale e dispone oggi di un arsenale missilistico e nucleare che ne assicura l’invulnerabilità, lo skyline di Pyongyang si arricchito di decine di nuovi grattacieli futuristici e centinaia di strutture moderne sono sorte su tutto il territorio nazionale. La Corea di Kim Jong Un ha resistito alle nuove ondate di sanzioni economiche internazionali e quest’anno ha affrontato con eccezionale efficienza anche l’inedita sfida della pandemia di Covid-19. La tradizionale alleanza con Russia e Cina si è rinsaldata sullo sfondo della nuova tensione internazionale, e nelle trattative con gli Usa il leader non è stato disposto a cedere le posizioni strategiche del paese in cambio di garanzie verbali di pace.